I dissidenti cambiano, il passato ritorna. Ma il futuro non è scritto

StrummerNYSono stato antiamericano. Orgogliosamente.
Anti Bush (Sr. & Jr.), per essere corretti. Ma antiamericano per estensione. Goffa, rozza quanto vi pare, ma simbolicamente valida: gli USA come icona del potere occidentale, dunque come logo stampato su tutto quello che al dissidente proprio non andava giù.

Eravamo ricchi, ribelli e antiamericani.

Dall’altra parte, oltre la cortina, anche molto oltre, fino alle esotiche lande delle Asie Minori, Intermedie e Totali, il giovane dissidente invece sognava l’America, la sua libertà, i suoi libri, i film, la musica. Penso all’Iran, ad esempio, alla Cina, o anche alla Cuba comunista. Ai Paesi del’Est negli anni ’80.

Così andavano le cose. C’erano loro, che sognavano noi, e noi, che non sognavamo certo loro, ma nemmeno gli USA, e stavamo comodi comodi in questo sogno di mezzo.

Adesso è cambiato tutto.
Almeno per me: ora mi sento molto più vicino a un dissidente cinese o iraniano (fatte le debite proporzioni), perché oggi anche io sogno l’America. Oggi mi sento vicino a certi ragazzi dell’Est Europa, che hanno vissuto la dittatura e la povertà sognando California.

E’ strano, ma è così. La rivoluzione è di nuovo americana. Sempre simbolicamente, sia chiaro. E questo, forse, più che un merito per Obama e per gli americani che l’hanno saggiamente eletto, è un demerito per l’Italia, che scivola sempre più a fondo, sempre più in basso, sempre più soddisfatta di quello che è, cioè nulla. Un nulla spaventato, terrorizzato, un vuoto che si riempie della Lega e delle sue intestinali interpretazioni della realtà, del Cavaliere e della sua politica come prosecuzione della televisione con altri mezzi, di un’opposizione diafana e frammentata come un corpo umano ridotto a brandelli: qui un cervello senza bocca, là un busto senza spina dorsale, una mano priva di occhi che la guidino, un orecchio abbandonato in una direzione da cui non proviene alcun suono.

Allora si torna a sperare negli USA, come i ragazzi dell’Est negli anni ’80. Per fortuna allora c’era Reagan mentre oggi c’è Obama, il che nutre speranze maggiori.

Negli USA, non nell’Europa: questo è il dramma numero due. All’Europa non ci crede più nessuno. L’Europa non ha ancora dato buoni esempi: non perchè non abbia fatto nulla di buono (qualcosa deve pur aver fatto), ma perché se l’ha fatto nessuno se ne accorto, e se l’ha fatto, in Italia, quel merito se l’è preso chi aveva la ventura di essere al governo.

Insomma: viva gli USA, viva Obama, ma a me sembra comunque di scivolare indietro, giorno dopo giorno, verso un passato che non è di decrescita, di freno allo sviluppo insostenibile, di ritorno a qualcosa di più sano e umano. Ma discarica di relitti malridotti e inutili, di tutto quello che la storia del mondo avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle. Perchè i fasti del passato se li sono già magnati tutti, e alla mensa sedevano sempre le solite quattro persone.

Questo è quanto. Ma non lasciamoci prendere dallo sconforto. Teniamo bene a mente le parole di zio Joe: il futuro non è scritto. Se non c’è, o sembra che non ci sia, e proprio perché dobbiamo fabbricarlo con le nostre mani.